Notte oscura
- Doroteo Alberti - redattore
- 11 mag 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 8 feb
“Nella notte beata,
in segreto e nessuno mi vedeva
né io guardavo cosa
senza altra luce e guida
se non quella che il mio cuore ardeva.”
San Giovanni della Croce

Domenica 29 gennaio 2023
Immaginate di essere soli, al volante della vostra auto.
State guidando su una strada rettilinea e deserta, siete convinti di avere tutto sotto controllo. A un certo punto guardate nello specchietto retrovisore e vi rendete conto che c’è un’altra persona a bordo.
Ovviamente vi spaventate, ma non tanto come quando vi accorgete che costui sta per tirare il freno a mano, e che c’è una terza persona seduta nel posto del passeggero anteriore che inizia a urlarvi contro.
Chiamiamo pure costoro “Es” e “Super Ego”, di freudiana memoria.
L’io a cui stiamo pensando quando diciamo ‘io’, ‘io penso...’, ‘io faccio...’, ‘io guido l’auto…’, non è tutto il nostro ‘io’, ma solo una parte della nostra stessa persona.
Ho acquisito questa consapevolezza grazie ad un’esperienza vissuta stanotte, influenzata dalle circostanze contingenti (una cena pesante) e dal mio interesse per la psicoanalisi.
A interagire con tale cena pesante, che mi ha regalato una notte movimentata e un’affannosa ricerca del sonno, motivata anche dal dovermi svegliare presto la mattina seguente, fu il Vangelo delle Beatitudini proclamato ieri sera, sabato 28 gennaio, e relativa omelia.
Dirò più avanti come.
Mi rigiravo nel letto, tra i crampi della digestione e la presenza sinceramente molesta di mio figlio piccolo nel letto. A un certo punto, con mia grande sorpresa, mia moglie si è messa a farmi degli scherzi che non gradivo, sempre più fastidiosi anche dal punto di vista fisico - punzecchiamenti, solletico, pizzicotti - finché a un certo punto non ce l’ho più fatta e ho iniziato a prenderla a insulti pesantissimi, sempre più violenti e urlando a voce sempre più alta, infischiandomene del vicinato che avrebbe potuto accorgersi di ciò che pensavo di lei in quel momento, per di più in quei toni e nel cuore della notte.
Provvidenzialmente, il frastuono di un motorino truccato in strada pareva in grado di coprire le urla.
Mia moglie, ovviamente offesa, si è messa a piangere rifugiandosi in cucina insieme al bambino.
Dopo ulteriore tempo a rigirarmi solitario nel talamo, decisi di andare da lei per chiederle perdono. Mi accorsi però che il mio primogenito era ancora sveglio, davanti alla televisione accesa.
Iniziai a scusarmi e ad insistere con mia moglie sull’opportunità di mettere a letto i bambini e tornare a dormire, poiché avevo visto sull’orologio del forno della cucina che erano già le 6.15, e la sveglia era puntata per le 7.30, e che non era ammissibile che i bambini non dormissero ancora.
Tra una storia e l’altra si tornò finalmente a letto, ma non riuscendo ancora ad addormentarmi ed essendo ancora in preda alla cattiva digestione, mi venne l’idea di rendere pan per focaccia a mia moglie, fingendo un ictus o un infarto, simulando gesti compulsivi e rantolii, e assumendo espressioni sfigurate per spaventarla.
Tuttavia, il piano non andò come previsto. Appena iniziata la messinscena, mia moglie si alzò in piedi, girò intorno al letto per venire al mio capezzale implorandomi di smetterla, perché qualcuno era entrato in casa e stava per accadere qualcosa di terribile!
Sulla luce appena appena soffusa che penetrava dalle finestre, tipica delle notti di casa nostra - poiché non facciamo mai buio pesto per dormire - calò improvvisamente un’oscurità totale ed inquietante, e iniziò a sentirsi un suono cupo e terrificante, come di trombe in avvicinamento.
Mi resi conto dell’impossibilità di desistere dalla mia sceneggiata e di poter abbandonare la posa e l’espressione assunta per scherzo, come se stessi veramente avendo un malore.
Mi accorgevo che la presenza si avvicinava e di non essere in grado di proteggere la mia famiglia. Mia moglie urlava “smettila! Smettila!”
Fu in quel momento che iniziai a prendere in considerazione l’ipotesi di essere vittima di un fenomeno psicologico di dissociazione noto come Paralisi Ipnagogica o Paralisi del Sonno, già capitatomi in passato.
Realizzai infatti in quell’istante di essere scivolato già da molto tempo dalla veglia al sogno, e il ricercato tentativo di addormentarmi si rivelò essere in realtà l’ansia di svegliarmi!
Cercai con grandissimo sforzo di uscire dalla paralisi, ma i miei movimenti erano come frenati.
Progressivamente percepivo sparire la realtà del sogno, benché fosse spaventosamente simile a quella della veglia, e durante questo processo comparve una visione di una persona a me cara.
Credetti questa visione dovuta, forse, al fatto che questa persona fosse appena morta, e che il suo spirito mi stesse visitando per l’ultima volta.
Appena potei scorgere interamente il suo volto, vidi che era deformato da espressioni innaturali e spaventose.
Mi arresi definitivamente, e smisi di combattere col terribile incubo, consapevole della natura transitoria del fenomeno di paralisi ipnagogica, e attesi pazientemente il suo esaurirsi.
Riacquistata completamente la mia motricità e raggiunto lo stato di veglia, decisi di alzarmi e mettere per iscritto queste righe.
Controllai l’orologio: 5.37. L’ora era diversa, meno tarda rispetto a quella vista nel sogno: sentivo ancora il bisogno di accertarmi di esserne uscito.
Per sicurezza chiesi a mia moglie, che ovviamente dormiva, ignara di ciò che mi stesse accadendo, “Cara, sei vera?”.
A quel punto mi fu improvvisamente chiaro come la Parola ascoltata la sera prima poteva trovare concreta applicazione alla mia vita.
Nell’omelia di commento al Vangelo, nel cui testo si fa un elenco di “Beati voi miti, beati voi poveri in spirito, beati voi quando vi insulteranno...”, il sacerdote aveva detto che dobbiamo smettere di guardare a questa Parola in ottica “moralista”, e di iniziare a farlo in senso “esistenziale”.
In pratica, essa non andrebbe interpretata come una serie di imposizioni o di consigli per essere buoni e fare i bravi, ma come la cartina tornasole sulla nostra condizione esistenziale. Infatti, ciò che segue a ogni “Beati quelli... beati coloro...”, non è tanto la descrizione della ricompensa per uno sforzo virtuoso, ma è l'elenco dei benefici concretamente sperimentabili solo se si è liberi di credere a Cristo anche nel tempo della sofferenza, ad esempio nell’essere perseguitati per la giustizia, essere nel pianto, essere poveri in spirito, vale a dire aver perso di vista il senso della vita a seguito di un grave fatto che ci ha distrutto fisicamente o moralmente.
L’esperienza dell’incubo, e la Parola di Dio così commentata, mi hanno condotto alle seguenti conclusioni.
Non ci rendiamo facilmente conto del momento esatto in cui qualcos’altro – o qualcun altro – prende il sopravvento nel nostro agire o nel nostro modo di percepire la realtà.
La Parola di Dio ci offre un’àncora esterna per capire se ci troviamo in una “Matrix” – percependo una realtà distorta dai nostri vizi, dalle nostre illusioni, dalle nostre passioni, dai nostri ormoni, dai nostri processi biochimici – o se veramente siamo in Grazia di Dio, e conseguentemente beneficiamo di uno sguardo lucido e oggettivo sul nostro agire e sulla realtà che ci circonda.
È necessario essere consapevoli di non essere “da soli in macchina”.
Governiamo a malapena il nostro Ego, il nostro inconscio è sempre pronto a farci sbandare, e dobbiamo cercare di dare il giusto peso al nostro Super Ego moralista, seduto sul sedile davanti che ci urla costantemente come dovremmo guidare: dobbiamo smettere di vedere la nostra fede e il nostro sistema di valori come una legge opprimente, che ci schiaccia, che ci fa sentire inadeguati.
Le Beatitudini saranno la conseguenza del nostro abbandono totale a Dio e all’aiuto di Cristo, e non il frutto dei nostri sforzi di automiglioramento comportamentale.
È cruciale trovare il modo di far calare nel subconscio i contenuti della fede, la Parola di Dio, che molto spesso non capiamo razionalmente (tramite cioè l’intelletto, il raziocinio, il “conscio”) e quindi li rigettiamo poiché, com’è naturale e giusto che sia, vogliamo che sia la nostra ragione a guidare il nostro agire.
Esporci ripetutamente alla Parola di Dio fa in modo che venga sedimentata negli strati più profondi del nostro io, parimenti a quanto facciamo con tutti i mali che riceviamo, coi dispiaceri e coi traumi che non riusciamo ad elaborare, che gettiamo in fondo al baratro del nostro cuore illudendoci di dimenticare, nel tentativo di seppellirli e farli tacere.
Sarà essa a sanarli giorno dopo giorno, illuminando sempre di più quell’inferno interiore che abbiamo alimentato nel corso della vita.
Lo illuminerà, lo risolverà, lo dissolverà mescolandosi ad esso.
I frutti di questo risanamento interiore appariranno successivamente e saranno privi di contraddizioni con i processi di raziocinio: fede e ragione si riscopriranno concordi.
Non sarà il nostro “io attivo”, in quanto Ego, a dover sforzarsi in questo procedimento, sotto le frustate del Super Ego.
Sarà il nostro “io dormiente”, il nostro Es, a subire passivamente un procedimento terapeutico, operato dal Cristo medico.
Nel sogno, noi siamo osservatori di una realtà indipendente dalla nostra consapevolezza, ma che si tratta comunque di un contenuto del nostro stesso cervello.
Se quel contenuto ci fosse famigliare, ne saremmo consapevoli e non ci sorprenderemmo al vederlo.
Esso invece ci sorprende, a tal punto da considerarlo qualcosa che ci stia accadendo dall’esterno.
Ritengo quindi sia vero che abbiamo dei soggetti terzi a bordo della nostra auto, che in qualche modo vivono di vita propria anche mentre noi non ci accorgiamo, o non ci ricordiamo, della loro presenza.
Siamo composti da più parti in relazione tra di loro: sono convinto che il rapporto con Cristo le riguardi tutte, mentre pensare di limitarlo ad una questione di coscienza, alla sola sfera comportamentale, possa indurci a trascorrere la vita all’insegna di un insostenibile moralismo.



L'hai definita notte oscura, ma sembra che un timido raggio di luce sia riuscito a entrare.
E una refezione poca sobria pare possa aiutare ;)