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Donne

Aggiornamento: 8 feb

Una comparazione senza pretese, spaziando tra mito e teologia della storia, tra protagoniste della mitologia classica e moderna e figure chiave della storia della salvezza.

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"E già ritorna la vergine, ritornano i regni di Saturno,

già la nuova progenie discende dall'alto del cielo.

Tu, o casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta per nascere,

con cui finirà la generazione del ferro e in tutto il mondo

sorgerà quella dell'oro: già regna il tuo Apollo.

Sotto di te console inizierà la gloria di quest'era,

o Pollione, e i grandi mesi cominceranno a trascorrere.

Con te guida, se resteranno vestigia dei nostri delitti,

esse saranno vanificate e le terre sciolte da perpetua paura.

Egli riceverà la vita degli dei, egli vedrà gli eroi

misti agli dei, ed egli stesso apparirà ad essi,

e reggerà l'orbe pacato dalle virtù patrie.

Per te, o fanciullo, la terra senza essere coltivata,

spargerà i primi piccoli doni, le edere erranti

qua e là con la baccara e la colocasia con il ridente acanto.

Le capre riporteranno da sole le mammelle piene

di latte, e gli armenti non temeranno i grandi leoni.

La stessa culla spargerà per te blandi fiori.

Anche il serpente scomparirà, anche la fallace erba di veleno

scomparirà; ovunque nascerà l'assiro amomo."


Bucoliche, Virgilio (Ecloga IV)


Questo carme virgiliano è stato oggetto di molta attenzione nei primi secoli del cristianesimo.


Con le sue assonanze con Isaia 7,14 e 11,6-8, infatti, rappresenta un chiaro segnale di come l’animo umano, espressosi lungo i secoli nelle arti figurative e letterarie, è capace di intuizioni spontanee, innate, sull’origine della vita, sul suo Creatore e perfino sul destino ultimo che lo attende, ora inteso come un’umana “età dell’Oro”, ora come la resurrezione per la vita eterna, insieme con Dio.


Naturalmente, al variare delle epoche e delle culture, tali espressioni assumono sfumature, linguaggi e forme diverse, ma viste nel loro insieme possono rivelare un unico pattern, costituito da esseri divini – o anche semidivini nella mitologia greca – che dall’alto guardano l’umanità nella sua condizione decaduta e prigioniera, discendono, soffrono, combattono, muoiono e risorgono, e in ultima istanza redimono l’umanità.


Gli esempi si sprecano, ma il più lampante mi pare essere l’epopea di Ercole: figlio del dio Zeus (l’altissimo, tra quelli dell’Olimpo), di natura a cavallo tra la divinità e l’umanità, corona la sua vicenda con la discesa nell’Ade e il suo successivo ritorno glorioso.


Queste “intuizioni”, disseminate nel cuore degli uomini di tutte le epoche, vennero identificate in epoca medievale con un’espressione dell’autore Giustino (II sec.) resa in latino con “Rationes seminales” e in greco con “logoi spermatikoi”, ovvero i “semi del Logos”, le tracce della Verità.


Questo Logos, inteso nell’ottica del Prologo giovanneo, è lo stesso Verbo di Dio, la sua “logica” che regge l’universo, il criterio con cui ha creato, giudicato e redento ogni cosa e ogni creatura, la cui impronta è iscritta nel profondo del cuore dell’uomo ed è ricercabile in tutto il creato.


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Queste intuizioni appaiono ancor più clamorosamente attraverso alcune figure femminili della letteratura profana: di primo acchito, ritengo lampante un parallelo tra Eva, la nostra progenitrice biblica (sia essa una figura realmente esistita o mero simbolo, la Chiesa lascia liberi di scegliere) e Pandora.


Pandora è la donna della mitologia greca che, a causa di una debolezza squisitamente femminile, permise ai mali di diffondersi nel mondo: come non vedere in Eva il suo equivalente biblico?


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Il nome stesso di Pandora richiama Eva: esso significa “tutti i doni”, e così come ad Eva furono donati tutti i beni del paradiso terrestre – eccetto uno, l’illustre albero della conoscenza – così essa fu colmata di ogni bene, e ciononostante disobbedì a Dio.


Zeus infatti conferì alla ragazza, oltre a tutto ciò di buono e virtuoso, anche un vaso contenente ogni vizio e malvagità, perché non fosse mai aperto. Pandora purtroppo cedette alla tentazione della curiosità, e sedotta come Eva dal tentatore, aprì lo scrigno. Come con la disobbedienza di Eva il peccato e la morte entrarono nel mondo, dal vaso di Pandora uscirono tutti i mali: vecchiaia, gelosia, malattia, dolore, morte. L'umanità, creata libera da tutto ciò, si ritrovò confinata in un mondo divenuto la sua tomba. 


Diverse narrazioni, simili azioni, uguali risultati.


Quale che sia fra le numerose donne della letteratura classica la protagonista del riscatto di Pandora, ritengo più vicino a noi un personaggio della cultura fantasy: Lady Galadriel.


Signora del reame di Lòrien e consorte del re degli elfi Celeborn, è uno dei personaggi più potenti nella schiera dei “buoni” del mondo del Silmarillion.


Sono molte le suggestioni che la avvicinano (senza ovviamente eguagliare) a colei che incarna il riscatto di Eva, ovvero la Vergine Maria. Una delle più eclatanti, a mio modesto parere, è l’efficacia del suo intervento nel cacciare, nel prequel “Lo Hobbit”, lo spirito malvagio di Sauron, chiaro calco in salsa norrena del “principe di questo mondo”.

 

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“Tu non hai alcun potere qui, Servo di Morgoth! Tu sei senza nome! Senza volto! Senza forma! Ritorna nel vuoto da cui sei venuto!” sono le parole con cui Lady Galadriel “esorcizza” lo spirito malvagio, manifestatosi per affliggere la Terra di Mezzo.

 

A detta di tutti gli esorcisti, la sola invocazione del nome di Maria risulta sempre di eccezionale efficacia, specie qualora l’attività diabolica non si limiti all’ordinaria tentazione dell’uomo.


Questo parallelismo è corroborato dal fatto che, come noto, l'autore Tolkien ha nascosto un messaggio indiscutibilmente cristiano nella sua opera, pur tramite personaggi non immediatamente sovrapponibili ai loro corrispondenti della Sacra Scrittura: è infatti parecchio ardito, e probabilmente eterodosso, stendere un fil rouge tra il protagonista Aragorn e Gesù Cristo, vero Redentore dell’umanità, ma è innegabile che la discesa nell’oltretomba, contenuta nella scena nel cosiddetto “Sentiero dei Morti”, quale passaggio doloroso e necessario per la salvezza degli uomini, non può che richiamare la passione, morte e risurrezione di Nostro Signore. Anche i lineamenti fisici dell’interprete Viggo Mortensen, nella resa cinematografica del capolavoro di Tolkien, potrebbero non essere stati un elemento casuale, vista la somiglianza con l’uomo della Sindone.


Questa divagazione non ha lo scopo di ridimensionare, ma piuttosto confermare, quanto i parallelismi tra narrativa mitologica e scrittura biblica, ispirati dai semi del Logos, riguardino in egual misura sia le figure maschili che quelle femminili, specie quando coprotagoniste.


Maria, che spesso viene chiamata “corredentrice” dell’umanità (il dibattito sulla correttezza teologica di questa definizione è tuttavia ancora in corso), è stata infatti la risposta ai desideri di salvezza espressi dai greci in Panacea, immaginata come la personificazione della guarigione universale.


Di questo ce ne si può rendere conto tramite un altro componimento greco, non più di epoca classica, ma proveniente dal mondo bizantino:


“O gioia di una casta e vergine donna, che supera gli angeli.

O sposa sempre pura e immacolata, O Signora tutta Santa. 

O nubile regina, la più onorevole, O Madre sommamente santa. 

O sempre vergine Maria, O Signora della creazione.

Gioisci, O sacro albero della vita, fonte di immortalità. Gioisci, O sposa non sposata!”


(tratto dal Cantico “Agni Parthene” composto da Nektarios di Egina)

 
 
 

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