Due parcheggi
- Doroteo Alberti - redattore
- 30 mag 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 8 feb
Sono di ritorno da un lungo viaggio, sono appena sceso dall’aereo.
Mi dirigo verso il parcheggio multipiano dell’aeroporto, costituito da due palazzi non comunicanti tra loro, dove tramite una rampa si può scegliere a che piano ricoverare la propria auto.
È curioso: ricordo che l’ho messa all’ultimo piano, ma non ricordo di quale dei due edifici… Anche il nome dei due parcheggi è veramente curioso: uno si chiama “Cristianesimo”, l’altro “Ateismo”.

Ci rifletto su e, dopo un po’, ecco che mi convinco: dev’essere nell’Ateismo. Entro quindi in ascensore e scelgo il pulsante dell’ultimo piano. Sono divertito da un altro aspetto molto singolare di questi due parcheggi: i piani, oltre che essere numerati, sono anche identificati ciascuno con un nome.
L’ascensore arriva a destinazione all’ultimo piano, il quinto.
La porta si apre, ecco il cartello con il nome del piano: “Morale”.
Dopo essermi guardato accuratamente intorno, mi accorgo sconcertato che la mia auto non c’è: non so come comportarmi, eppure ero piuttosto sicuro fosse qui. Questo piano morale non mi sembra familiare, non è il mio posto.
Effettivamente ci capita spesso di confrontarci con persone che hanno una morale diversa dalla nostra, che ci sembra incomprensibile e che non condividiamo: esse si comportano in un modo che per noi è disorientante, sbagliato, controproducente, illogico, e siamo frustrati di come per loro sia invece del tutto naturale fare così.
Sono convinto che, alla radice di questa incomprensione, ci sia l’errato presupposto di trovarci in un edificio monopiano, mentre in realtà la morale poggia su una stratificazione più complessa: vi sono piani, al di sotto di essa, che la sorreggono.
Il nome del sottostante quarto piano, infatti, è “Cultura”.
Sicuramente le possibili definizioni della parola cultura sono molteplici, ma credo che una di esse sia: il sistema complessivo di convinzioni, messo coerentemente in pratica nella società di cui facciamo parte.
Al di sotto di essa, vi è il terzo piano, quello della “Filosofia”.
La filosofia è, letteralmente, “l’amore per il sapere”. Questo amore, in pratica, si è sempre concretizzato in uno sforzo alla ricerca della verità.
Tuttavia, conoscere la verità non è così facile. Molti, infatti, sono dubbiosi che gli strumenti che abbiamo a disposizione siano adeguati a soddisfare la nostra ricerca: le nostre percezioni, il nostro intelletto, i nostri sensi ci trasmettono informazioni affidabili, oppure soltanto illusioni ottiche, uditive, cognitive?
Percepiamo il mondo reale, oppure soltanto una simulazione?
Il film Matrix e la teoria "dei Cervelli di Boltzmann" sono una chiara espressione di questo dubbio: come avere la certezza assoluta, razionale, incontrovertibile, che i dati e i procedimenti logici e matematici che utilizziamo, nell’atto di conoscere, non siano frutto di una proiezione arbitraria da parte nostra? Queste sono le tematiche di cui si discute al secondo piano, quello della cosiddetta “Epistemologia”, ovvero quella disciplina che si interroga su come vengano formate le opinioni.
Sapere come formarci un’opinione presuppone che ci si sia fatti, almeno, un’idea di base su quello che ci circonda. Ecco quindi cosa si trova al primo piano: la “Cosmologia”, intesa come ricerca sapienziale, ancor prima che scientifica, sulla natura, le leggi, l’origine e il destino dell’universo. La domanda che probabilmente può riassumere a dovere questa attività è “Cos’è che esiste?”.
Non potendo sussistere un qualsiasi edificio senza almeno un piano terra, ecco che arriviamo ad esso. Prima di chiederci “cosa esiste”, infatti, dobbiamo definire cosa voglia dire “esistere”. Chi si diletta con questa domanda si occupa di “Ontologia”, vale a dire cerca ciò in cui fondamentalmente consiste il verbo “essere”, e quale sia il senso dell’esistenza.
È dunque veramente il caso di dire “Essere o non essere, questo è il problema”?
No, perché il problema non è questo. Non è su questo piano che si risolve la questione.
Infatti, nessun edificio può reggersi senza le fondamenta, che si trovano al piano sotterraneo, in cantina. Ciò, perché la domanda del piano terra può rivelarsi malposta: non si tratta di capire cosa sia l’essere, quasi come se la base dell’esistenza fosse appunto una “cosa”, un oggetto inerte o un concetto astratto, privo di consistenza generativa e incondizionata.
C’è bisogno di qualcosa di più vivo ed assoluto, poiché molti trovano illogico ridurre il principio primo di tutto ad un semplice “qualcosa”...
È necessario porsi la domanda sul presupposto finale, e definitivo, che si cela dietro a tutti gli altri presupposti intermedi che abbiamo visto fin qua. Non lo troveremo cercando “un essere”, ma l’Essere per eccellenza.
Non chiedendoci che cosa sia essere, ma Chi è l’Essere.
Dobbiamo quindi scendere nel sotterraneo della “Teologia”, andare fiduciosi alla ricerca della ragione, e ragionevoli alla ricerca della fede.
Dio c’è, oppure non c’è? E se c’è, che tipo è? Questo è veramente il problema.
Dobbiamo affrontarlo senza paura, sia che la risposta risulti la prima, sia che risulti la seconda. Infatti, potremo sia a livello empirico, sia a livello teorico, constatare come cambia tutto l’edificio sovrastante al cambiare del sotterraneo.
Per brevità, mi sono concentrato solo sull’alternativa più radicale (c’è / non c’è), ma la storia cambia parecchio in base anche a “che tipo è”…
Ad ogni modo, se Dio c’è, le risposte ontologiche sul senso dell’esistenza saranno opposte rispetto al caso contrario. A questo riguardo, suggerisco la lettura della mia serie su Qoelet.
Se il senso di esistere è alla luce della presenza di Dio, troveremo un primo piano, quello del Cosmo, apparentemente simile al primo piano del “parcheggio Ateismo”, ma avente origini e destino certi.
Se invece il destino del mondo è incerto, le opinioni che possiamo formarci su di esso, salendo all’epistemologico secondo piano, perdono tutto sommato di importanza. Ma se l’universo è sensato, direzionato, indirizzato a un punto preannunciato - quello dell’incontro col Creatore - l’opinione che possiamo formulare su di esso acquista improvvisamente affidabilità, poiché il Creatore dell’universo è lo stesso che ha fatto anche i sensi e l’intelletto di cui siamo dotati per scandagliarlo.
Se al contrario non sappiamo se fidarci o meno delle nostre percezioni e del nostro intelletto, anche la filosofia si riscoprirà insipida, tremula e, in ultima istanza, vagabonda, poiché minata nei suoi presupposti. Una filosofia invece sorretta da solidi strumenti per filosofare, cioè da sensi ed intelligenza affidabili, sarà colma di significato, di serietà, di rigore, di dignità, di valore.
Da queste basi scaturiranno di conseguenza due culture differenti e, con tutta probabilità, contrapposte: una sarà all’insegna del relativo, del discutibile, del ‘laissez faire’, l’altra all’insegna dell'ordine, dell'armonia, dei valori.
È infine chiaro che risulterà irragionevole, osservando chi si trova al quinto piano del parcheggio opposto, sorprendersi vedendolo fare quello che fa e comportarsi come si comporta. Inutilmente ci si farà il sangue amaro, cercando di convincerlo di quanto sia invece giusto fare come facciamo noi, del parcheggio di qua.
Se sono convinto che Dio sia un’invenzione, tutti quei comportamenti morali che derivano da una cultura cristiana, da una filosofia cristiana e da una visione cristiana della realtà, irrimediabilmente mi parranno incomprensibili, se non addirittura ridicoli… e viceversa!
Pertanto: voglio sapere come devo comportarmi moralmente?
Vado a controllare se c’è Dio in cantina.



La certezza dell'esistenza di Dio risolve, in effetti, moltissimi problemi:
prima di tutto che così Dio non devo essere io.
Con tutto ciò che ne consegue, in primis il fallimentare compito di trovare un altro significato all'esistenza.
Ps. Post preferito per ora a mani basse, fino ad ora.