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Realtà

Aggiornamento: 8 feb

In uno dei miei post precedenti, ho avuto modo di soffermarmi su come il linguaggio che utilizziamo influenzi la nostra percezione della realtà.


Questa stessa parola, la “realtà”, è suscettibile di equivoci.


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Equivocare cosa significhi reale può, chiaramente, causare una serie infinita di implicazioni negative. In poche parole: se sbagliamo sulla premessa, stiamo pur certi che giungeremo a conclusioni quantomeno difettose.

 

Qual è, in particolare, l’errore che voglio a tutti i costi evitare, in merito alla parola “realtà”?

Il fatto che essa sia, in qualche modo, sovrapponibile in tutto e per tutto con la parola “fisico”, “materiale”.

 

Certamente, ciò che è fisico e materiale è senza dubbio anche reale, ma siamo sicuri che tutto il reale si limiti ad esso?

 

Partirei pertanto da qui per entrare, nel modo più semplice e meno accademico possibile, nel “metafisico”.

 

Cosa indica questa parola? Facciamo un esempio.


Un pittore è davanti a una tela bianca, determinato a creare un dipinto stupendo.

Sta elaborando nella sua testa tutte le tecniche che utilizzerà, gli strumenti, i colori di cui avrà bisogno, e il modo di combinarli.


Nel frattempo, fino a che la pianificazione non sarà soppiantata dall’azione, la tela continuerà a rimanere bianca.

È evidente che, fino ad allora, nel mondo fisico il dipinto non esisterà.


È tuttavia altrettanto evidente che non si può affermare che quel dipinto non esista del tutto. Non esiste materialmente, ma vi è “da qualche parte” una sua chiara immagine, una sua premessa, un qualcosa di assolutamente sostanziale e necessario alla sua concreta esistenza: l’idea nell’ispirazione del pittore.


Essa non è materiale, ma si può senz’altro dire che è in grado di produrre un effetto. E ciò che è in grado di produrre un effetto, non può non avere anche una qualche consistenza e, quindi, non può mancare di realtà.

 

Qualcuno potrebbe obiettare che i contenuti cerebrali, come appunto l’idea del pittore, qualche riflesso fisico lo abbiano, ed effettivamente è così. Ma le onde cerebrali che si possono registrare pensando a questa o a quell’altra cosa non “sono” quel pensiero in sé e per sé. Tali onde ne sono una manifestazione fisica, manifestazione decodificabile in qualche modo se vogliamo, ma non coincidono con la coscienza, prerogativa dell’animo umano: su questo argomento, peraltro, autorevoli studi come quelli del Magis Center e della New York Academy of Sciences stanno conducendo a determinanti conclusioni sul rapporto, non poi così stretto, tra attività cerebrale e contenuti della coscienza, prendendo in esame un elevato numero di cosiddette Near-Death Experiences, o Esperienze di Pre-Morte (https://www.nyas.org/ideas-insights/blog/what-near-death-and-psychedelic-experiences-reveal-about-human-consciousness/).

 

A questo esempio sono chiaramente collegati i concetti di atto e potenza di aristotelica memoria, sui quali non divagheremo. Altresì, esso prende ispirazione dal platonico “mondo delle idee”, solo nella misura in cui questo possa aiutarmi nella sintesi, non certo quindi nella sua piena accezione originaria, quella secondo cui le idee vivono di vita propria rispetto ai corpi, e che pertanto il metafisico sarebbe indipendente dal fisico...

 

Nel Credo niceno-costantinopolitano, i cristiani affermano la fede in un Dio “creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”.

Il libro biblico del Siracide dice che “tutte le opere di Dio sono a coppie, l’una di fronte all’altra”.

 

Lo scienziato cristiano Antonino Zichichi, uno dei più noti e influenti fisici a livello mondiale, sostiene che l’uomo sia il “sottile orizzonte” al confine tra trascendente e immanente.


In una recente intervista ha dichiarato: “se la scienza potesse spiegare questo mondo, non sarebbe più scienza. Noi cerchiamo di capire la logica che regge il mondo, e questa logica deve avere un autore.

Non siamo figli del caos, nessuno è riuscito matematicamente a dimostrare che da un sistema caotico derivi un sistema ordinato.


Noi non dobbiamo dimostrare che Dio esiste.

Perché io sono un credente?

Perché nessuno potrebbe spiegare la logica che noi studiamo, e che qualcuno ha saputo realizzare.


Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo?

Perché c’è una logica che regge l’universo.

Se c’è una logica, deve esserci un autore di essa.

Coloro che pensano che l’autore non c’è, fanno un atto di fede, e non di ragione.


L’ateismo è la negazione della sfera trascendente di ciò che esiste.

Noi siamo la sintesi di trascendente e immanente”.

 

Questa consapevolezza nella logica che regge il mondo si riferisce chiaramente al prologo del Vangelo di Giovanni: la parola “logica” deriva da “Lògos”, il Verbo che “era in principio”, che “era presso Dio”, “senza il quale nulla è stato fatto di ciò che esiste”.


Inoltre, era già stata anticipata da san Tommaso d’Aquino, nella Summa: “sebbene il corpo possa essere un principio di vita, o essere una cosa vivente, come il cuore è un principio di vita in un animale, tuttavia nulla di corporeo può essere il primo principio di vita”.

 

Questa relazione tra logica trascendente ed universo fisico immanente vede riverberare il suo schema anche sulla persona umana: ai corpi fisici e mortali, infatti, corrisponde un’anima spirituale e immortale.


Il “sottile orizzonte” di Zichichi non è un confine o un muro di separazione, ma un punto di contatto: allo stesso destino di immortalità dell’anima, infatti, i cristiani credono sia chiamato anche il corpo, poiché divenuto partecipe della comunione con Dio, grazie al fatto di essere stato assunto dalla seconda persona della Trinità, il Figlio di Dio Gesù Cristo, nel mistero dell’incarnazione.

 

Al naturale corrisponde il soprannaturale, ciò che è temporaneo e deciduo viene superato dall’eterno. Ciò, non tanto in termini di transitorietà, quanto in termini logico-esistenziali: sarebbe un errore, infatti, dire di “attendere l’eternità”, dal momento che l’eterno per sua definizione non ha un punto di inizio. Si tratta infatti di sperimentarlo già in questa vita.

 

Questa visione della realtà, fatta sia di fisica che di metafisica, dove quest’ultima anticipa e pone le basi per la prima, ci dà la possibilità di fare un salto di qualità nell’interpretazione del comportamento umano e degli avvenimenti della storia.


La realtà fisica è infatti anche detta “simbolica”: il cristianesimo orientale ci ricorda questo aspetto tramite le famose icone. Esse sono la rappresentazione - nel senso latino del termine, “rendere presente” - in forme e colori visibili, di una presenza divenuta temporaneamente invisibile: quella dei santi, ossia delle persone che ci hanno preceduto nel cammino verso la nostra meta, l’eternità.


La realtà visibile è quindi solo un simbolo, una sorta di segnaposto; “veramente vera”, definitiva, eterna, significativa, è quella invisibile. Il mio corpo è interpretabile come il “simbolo”, la configurazione della mia anima.

 

Pertanto, se ciò che è fisico è soltanto simbolico di ciò che è metafisico, ossia se la valenza del materiale è riconducibile all’immateriale, allora le prospettive legate alle vicende materiali del mondo assumeranno un’importanza molto più relativa: costituiranno un riflesso logico di ciò che conta a livello metafisico, a livello trascendente, a livello soprannaturale, a livello spirituale.

 
 
 

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